https://rivista.edizionimalamente.it/2023/11/21/a-la-guerre-comme-a-la-guerre/
Non c’è alcun dubbio che lo Stato di #israele da decenni, perseguiti e opprima la popolazione palestinese, che attui una politica di sterminio, che occupi territori da cui dovrebbe solo andarsene. Ed è chiaro come in questa “nuova” guerra, ancora una volta, i palestinesi pagheranno il prezzo più alto. D’altra parte ci rifiutiamo di credere che un gruppo di potere come #Hamas possa rappresentare da solo le legittime aspirazioni alla libertà del popolo palestinese; sempre che si possa parlare di un “popolo” palestinese come unità indistinta. Sosteniamo la violenza degli oppressi contro i loro oppressori, ma sappiamo ancora distinguere tra rivolta popolare (intifada) e barbarie indiscriminata come quella che ha colpito tanti civili israeliani e di altre nazionalità la mattina del #7ottobre
1/
À la guerre comme à la guerre - Rivista Malamente
Abbiamo scelto di dedicare la copertina alla resistenza del popolo palestinese, oppresso da decenni e vittima in queste settimane di una brutale rappresagliaRedazione (Rivista Malamente)
Zeppe
in reply to Zeppe • • •Pertanto ci rifiutiamo di festeggiare per le azioni di uomini che anche all’interno di #Gaza reprimono ogni dissenso alla loro linea jihadista.
Dopo decenni di violenza ormai sedimentata, di rabbia, rancore, vendette, sembra purtroppo una utopia pensare alla riconciliazione degli sfruttati di entrambe le parti, ad assemblee popolari di autogoverno, a comunità solidali e cooperanti che considerino la “terra” (questo feticcio rivendicato col sangue) come bene comune, a una lotta non più su base etnica, religiosa, nazionale, ma che prenda di mira allo stesso tempo l’apparato di governo israeliano e le fazioni di potere palestinesi. Eppure, contro nazionalismi e fondamentalismi, è la sola strada che ci sentiamo di sognare.
2/
Zeppe
in reply to Zeppe • • •L’accusa in base alla quale in nome dell’anti-colonialismo non sia possibile criticare, dall’Europa, le forme e i linguaggi di chi lotta da una posizione di subalternità storica, geografica e razziale ci sembra disfunzionale alla liberazione di tutti e tutte. Invece di dare più forza agli oppressi, questa posizione sta legittimando nuove classi di oppressori, di diverso colore e religione, che acquistano potere in una spirale suicida di guerra e terrorismo tra destre globali.
Per quel poco che possa valere e per quanto minoritaria sia oggi la nostra posizione, non daremo mai un sostegno incondizionato a chi non condivide i nostri valori di base, a chi lotta senza un’etica del combattimento in Palestina, in Siria, in Ucraina o in altre geografie del nostro tormentato pianeta.
3/fine