Search
Items tagged with: architetto
Ma Nicolini rivendicava anche una buona dose di realismo
Renato Nicolini è stato protagonista ed esecutore, regista e attore, di una profonda esigenza di rinnovamento dei modi di intendere, amministrare, produrre e vivere la cultura. Ha acceso nuovi bisogni dando una risposta a quelli emergenti […]. Nella fase del suo operato abbiamo visto modificarsi i ritmi e le immagini della nostra città, popolarsi la notte, mescolarsi i consumi, legittimarsi margini e sacche di popolo, la piazza recuperare l’immaginario cinematografico e definitivo, il pubblico riconoscersi nel governo della città, la stampa riscoprire il territorio, la società investire sui linguaggi simbolici, sui rituali quotidiani. Massenzio è stata una «città futura» […] i simboli contro l’apparato, le risorse culturali contro quelle materiali, il privato contro il pubblico, ecc […]. Grazie a queste contraddizioni abbiamo abbandonato molte strategie: il moralismo sui consumi di massa (che insieme all’acqua sporca del profitto gettava nel fango bisogni individuali del corpo, il piacere della immaginazione e la critica della fantasia), la concezione rigida e meccanicistica del territorio secondo il modello di decentramento (che finiva per sottrarre alla periferia la fascinazione e i valori del centro), la separazione tra cultura e risorse economiche, tecnologiche, «consumistiche» <128.
La sintesi di Alberto Abruzzese consegna a Renato Nicolini (Roma 1942 – Roma 2012) un ruolo centrale come innovatore di stilemi narrativi, pratiche politiche e modelli culturali di uno specifico territorio sociale italiano. Tuttavia la vicenda dell’assessore romano non ha sinora riscontrato grande attenzione a livello storiografico. Restano inesplorati, infatti, gli itinerari legati alla formazione personale, alla parabola politica che lo vede protagonista e al dispiegamento di quest’ultima nel dibattito pubblico. Tale riscoperta può senz’altro consentire di illuminare configurazioni esistenziali e snodi storiografici, continuità e cesure, nello scenario sociale italiano tra anni settanta e ottanta <129.
Dialogando con un contesto più ampio, è possibile tratteggiare un quadro d’insieme che a partire da Renato Nicolini sia paradigmatico su un piano generazionale. Le tappe di questo percorso scandiscono una trasformazione che coinvolge un largo strato del corpo sociale del Pci. Nel passaggio dalla federazione all’amministrazione, questo segmento generazionale porta in dote un bagaglio di esperienze segnato da maggiore libertà di azione politica e una pluralità di immagini mediate dal serbatoio della cultura di massa.
Nipote dello scultore Giovanni Nicolini e figlio dell’architetto Roberto, Renato eredita dalla prossimità ad un contesto artistico l’attenzione verso la dimensione estetica dei momenti culturali e il dispiegamento dell’arte in un’ottica spaziale. All’interno di un milieu famigliare di estrazione borghese, Nicolini diviene comunista per scelta. Il suo avvicinamento al partito si produce al di fuori dei tradizionali circuiti di socializzazione degli anni sessanta (famiglia, partito e sindacato), sintomatico della nascita di percorsi esterni alle consuete categorie del politico, certamente espressione della rivoluzione sessantottina. Di molti anni precedente la “presa della tessera” della Fgci, l’avvicinamento alle sezioni comuniste si realizza in virtù di ragioni esistenziali più che dogmatiche, dettate dalla ricerca di uno spazio libero di confronto ed espressione. Egli stesso ricorderà: «l’Unione Sovietica era, per noi, davvero molto lontana, addirittura fuori dell’orizzonte, piuttosto la squadra un po’ aliena e buffa che si presentava alle Olimpiadi di Roma che non la patria del socialismo» <130. Bisognerà attendere l’ingresso del Psi nell’area di governo, foriero delle deludenti esperienze del centro-sinistra <131, per veder maturare in lui il convincimento orientato verso il passaggio ad una militanza piena.
A caratterizzare una personalità attenta alle nuove sensibilità sociali concorre l’esperienza nella facoltà di architettura, presso la quale è segretario del consiglio di facoltà e parte attiva delle discussioni che animano, nel 1963 prima e nel 1968 poi, il mondo studentesco della capitale. In un volumetto di sintesi sulle lotte del 1963 Nicolini scrive: «non è sufficiente una generica presa di coscienza politica per agire in modo rivoluzionario nel settore edilizio; ma è necessario invece rivendicare e ottenere la capacità di operare sintesi architettoniche e politiche in questo senso spcifico» <132. La messa in discussione delle gerarchie esistenti operata dal sessantotto, filtrata dall’ambiente universitario, contribuisce significativamente alla formazione di un immaginario politico e culturale inclusivo, trasmettendogli inoltre l’attenzione verso una maggiore democratizzazione degli spazi politici e nei rapporti interpersonali. L’avventura sessantottina lo pone davanti alle questioni di più ampia portata sollevate all’arrivo delle lotte nella facoltà di architettura. In anni successivi, le sue riflessioni avrebbero trovato una sistemazione compiuta, animando dei fecondi contributi sui temi dell’insegnamento e del ruolo dell’architetto nelle società moderne <133. È tra i protagonisti della seconda fase dell’esperienza editoriale «Controspazio», in una posizione dialettica nei confronti dei dogmi del Movimento Moderno, coerentemente al taglio della rivista, volto a «ridefinire i contorni disciplinari dell’architettura chiaramente in opposizione ai canali tradizionali di diffusione e critica» <134. Un breve passaggio nella goliardia studentesca precede l’impegno politico nel Pci, forgiato all’interno di una sezione del Campo Marzio, considerata intellettuale più che politica, e affollata da soggettività sempre più distanti dal profilo totalizzante della militanza comunista, ancora pesantemente improntata alla vulgata sovietica <135.
Il secondo incontro Internazionale degli Studenti di Architettura nell’ottobre del 1963 è l’occasione per osservare da vicino la Cuba di Fidel Castro, impegnata in un’opera di promozione della propria esperienza politica <136. Accolto a L’Avana dal ministro dell’industria Ernesto Guevara, un intervento propagandistico ma efficace sul ruolo dell’architetto nelle società socialiste <137 avrebbe completato il soggiorno nell’isola, del quale Nicolini conserverà il ricordo di «un socialismo “napoletano”, pieno di canti, feste, allegria, balli per le strade fino alle ore piccole» <138.
Alla candidatura in Consiglio comunale nel momento più alto della parabola politica del Pci nel 1976 seguono l’elezione e, inattesa, la nomina di assessore alla cultura <139. Sin dalle prime battute manifesta uno stile originale di intendere la progettualità sulla capitale per arricchire quell’«Idea per Roma» che rappresenta il contenitore analitico del Partito sulla capitale negli anni settanta. Se ne trova conferma due anni prima, quando nelle vesti di consigliere circoscrizionale, in occasione del seminario di studio organizzato dal Pci sul problema dei centri storici, era intervenuto a rimarcare la necessità di adoperarsi politicamente sul centro di Roma attraverso un’azione «profondamente originale rispetto alle esperienze che erano state sino allora seguite» <140.
Che Nicolini rivendichi una buona dose di realismo, non solo entro i collaudati binari della politica del partito ma anche dal confronto con territori ed attori distanti dall’isola del marxismo ortodosso, è del tutto evidente ma è stato sin qui taciuto. Alle spalle degli allestimenti spettacolari dell’effimero si dispiega un asse progettuale votato a favorire la realtà sull’ideologia: «C’è una sorta di luogo comune per cui accettare la realtà significherebbe abbandono della tensione per il cambiamento. È vero il contrario: finché non si riconosce la realtà si rimane nelle nebbie dell’ideologia. E riconoscere la realtà non può che accrescere il desiderio di trasformarla» <141. Se da un lato, come assessore, le sue fortune sono indiscutibilmente legate alla stagione delle Estati romane, di cui è il principale artefice, è certamente vero che tale politica sarebbe stata impensabile senza una particolare sensibilità culturale. La propensione al gioco e alla dissacrazione, la produzione di spazi, fisici e immaginari, per una libera fruizione urbana e una ferma opposizione verso qualsiasi snobismo culturale si realizzano nel tentativo di rendere la città esperibile attraverso una nuova gerarchia di valori, rompendo la tradizionale dicotomia aprioristicamente stabilita fra prodotti leggeri e d’élite, fra intellettuali e masse. Nel dispiegarsi di un’attività politica appassionata gioca poi un ruolo decisivo una formazione che abbraccia senza indugi gli spazi della cultura di massa, dai libri alle pellicole cinematografiche, dal teatro sperimentale alla fantascienza, dalla Tv al fumetto.
Qui interessa richiamare i tasselli principali di un profilo intellettuale che come punto di partenza ha i classici dalla tradizione, romanzi di formazione e grandi nomi della letteratura europea. Le numerose interviste manifestano quanto la letteratura usata come metafora sia una costante nella narrativa della comunicazione nicoliniana. Un esempio fra i tanti lo si ricava da un piccolo corsivo per «L’Espresso», a proposito della sua esperienza come officiante dei matrimoni in qualità di amministratore pubblico: «Mi è capitato così di pronunciare confuse quanto imbarazzate allocuzioni (richieste preventivamente) sul concetto di famiglia in Gramsci, su cui però non mi era riuscito di trovare nulla in un’affrettata consultazione dei “Quaderni dal carcere”, e quindi avevo finito per parlare di Musil» <142. Le matrici culturali del “nicolinismo” affondano le proprie radici anche in una serie di letture non perfettamente inquadrabili nel rigido pantheon culturale del comunista modello. Fra queste il fumetto riveste senza dubbio un ruolo di primaria importanza. Nella loro versione pop, strisce e balloon sono ancora bollate dal Pci come frivole e reazionarie. L’accusa è di veicolare una pericolosa adorazione verso i supereroi, violenti vigilanti dell’ordine costituito, tanto più nociva quanto sottilmente rivolta a legitimmare un mondo capitalista in ogni storia sottratto a un nemico portatore di rivendicazioni libertarie e livellatrici <143. Nicolini è un accanito lettore di fumetti: da Hugo Pratt, cui destina il voto in occasione della seduta che elegge Oscar Luigi Scalfaro presidente della repubblica nella XI legislatura, al fumetto commerciale estero, sino alle nuove suggestioni autoriali sorte alla fine degli anni settanta <144. Compito dell’effimero, per volontà di Nicolini, sarà dunque quello di socializzare pubblico e militanti ai medium culturali leggeri ed alle arti grafiche. Il mondo del fumetto e la fantasia “a strisce” influenzeranno l’immaginario di ogni manifestazione e, intrecciati ai titoli delle Estati romane, si moltiplicheranno su quotidiani e periodici. Nicolini in persona si sarebbe del resto occupato della redazione del soggetto per una spy story a puntate sul «Messaggero», rappresentata graficamente in ogni episodio da un artista diverso: da Magnus a Franco Verola, da Luciano Bernasconi ad Alfredo Castelli, da Sergio Staino a Milo Manara, per un totale di quaranta “Grandi Matite”.
Vicino alle espressioni satirico-artistiche della rivista «Il Male» – che realizza in quegli anni un dissacrante busto di Andreotti alla presenza dell’assessore – figurandovi con interviste, vignette e approfondimenti, promuove l’organizzazione della rassegna Phantasmagorie, la manifestazione di satira grafica Satyricon <145 e collabora a quella di Miseria 81 <146, che contempla il lancio da un dirigibile di finte prime pagine del «Male» <147.
La ricerca dell’immediatezza espressiva e la passione per l’arte grafica lo collocano sullo stesso binario di Andrea Pazienza, genio indiscusso della stagione del nuovo fumetto italiano, che fra narcisismo, autodistruzione e ingegno creativo avrebbe dato vita ad alcuni titoli fra i più significativi del panorama italiano, come l’onirico Pentothal e il cinico Zanardi. I due hanno in cantiere un sodalizio di natura personale e artistica, ed è già pronto il nom de plume di gemelli Carrera (dalla famosa marca di abbigliamento), quando la scomparsa di Pazienza nel 1988 pone prematuramente fine all’esperienza <148.
Accanto al mondo della fantasia grafica vi è certamente la sua passione più nota: il cinema. Intervistato nell’occasione di un documentario sull’Estate romana, Bruno Restuccia avrebbe dichiarato che quando fra gli avventori degli spazi alternativi della capitale circola la voce della nomina di Nicolini, questi lo riconoscono immediatamente come «quello dei cineclub» <149. Una rete sotterranea di piccole sale, spazi contoculturali e territori dell’immaginario, i cosiddetti circuiti off, che folgora il futuro assessore: dai lunedì del Rialto ai matinée domenicali del Circolo Universitario sino all’approdo più maturo ai filmclub come Filmstudio, il Politecnico, L’Occhio L’Orecchio La Bocca. Una tappa decisiva come socializzazione alla fruizione cinematografica, significativamente difforme da quella, più pettinata, da sala commerciale. Ma capace anche di evidenziarne gli aspetti industriali, la vita del cinema “oltre il film” e le soggettività creative orbitanti attorno all’industria cinematografica. Convinto assertore della necessità di abbattere le distinzioni fra cultura alta e cultura bassa, superando il pedagogismo diffuso nella critica intellettuale italiana – decisiva nel processo di formazione della coscienza nazionale nel secondo dopoguerra -, avversa «i moralisti della cultura» <150 e rivendica la necessità di attuarne un disegno «unitario»: «La “cultura” è una cosa curiosa, perché è sempre un’ipotesi, una interpretazione, un tentativo di interpretare la realtà in modi corretti, e dall’altra parte questo gioco di interpretarla, di metterla in crisi si accompagna col fatto che la cultura è sostanzialmente unitaria, ed è unitaria perché divisa. Come si fa a capire Topolino o Walt Disney se non si conoscono Griffith o il dada?» <151.
Non è un caso che il contesto storico più efficace a dispiegare l’impronta culturale nicoliniana sia quello degli anni ottanta. Il composito collage di immagini e riferimenti che ne costituisce la cifra incontra la galassia esistenziale nicoliniana che pretende una cittadinanza nella società degli anni ottanta, votata all’esaltazione dei momenti spettacolari e improntata su nuovi paradigmi sociali. Accanto e oltre le interminabili polemiche, a suo dire viziate da una incomprensione di fondo sull’attualità dell’effimero – «scambiarla per una sorta di impresariato comunale, contraddistinto dal giovanilismo e dalla stravaganza» era stato l’errore più grande – Nicolini sottolinea:
“le diverse motivazioni del pubblico, insieme segno del successo e ragione dell’immediato equivoco, che finivano per dare spettacolo. Perché le “offerte” potevano anche essere lette secondo codici diversi; che mentre mantenevano l’unicità e dunque l’egualitarismo “politico” – parola cruciale della società contemporanea, nella sua forma “matura” ed “occidentale” – della proposta, consentivano letture differenziate, adatte alla società degli “individui sovrani”, per usare un bel termine non mio, che si afferma socialmente intorno al tornante degli Anni Ottanta e non ha ancora trovata la propria rappresentanza politica” <152.
Questo insieme di simboli e riferimenti avrebbe provocato in maniera diretta la creazione di un immaginario urbano, saldando quel meraviglioso che è da sempre nelle sue intenzioni ad una urbanistica dell’immateriale che mette in primo piano il gioco, il rimosso, l’emozione, la festa e i desideri. Esso emerge distintamente già a partire dal 1972-73 <153, dai materiali dei suoi corsi di architettura dedicati all’analisi del nesso fra luoghi fisici ed emozionali. La frequentazione degli spazi negletti di filmclub e cantine gli avrebbe instillato quell’interesse per una contro-narrazione di Roma, all’interno di un disegno sulla città che si andrà rinnovando, ampliando e precisando negli anni, spesso utilizzato ancora oggi come idealtipo di azione spettacolare sulle quinte archeologiche. Una caotica metropoli rappresenta lo sfondo materiale della politica culturale promossa da Nicolini e la battaglia per lo svecchiamento delle pratiche amministrative e d’apparato si accompagna ad una moderna idea di consumo culturale. Sul nesso fra repertori cinematografici e modelli di intervento nell’area urbana interviene dalla fine degli anni settanta su «Rinascita» con numerosi saggi. In uno di questi sostiene che «Rinnovare la vita culturale della città» significhi andare oltre «il conformismo piccolo-borghese di mediocre livello» così come si era sviluppato a Roma:
“Ma il vero modello culturale è questo cominciare ad entrare nel mondo-nei mondi dello spettatore, di restituirlo alle soglie dell’attenzione critica, di renderlo consapevole che i suoi ragionamenti, magari repressi e colpevoli, sul cinema «commerciale», non erano lontano dalla comprensione di alcune verità. Ci sembra anche di cominciare a negare la separazione delle iniziative destinate allo «spettatore comune» da quelle destinate allo spettatore «colto». Consumo culturale? Piuttosto il fatto innegabile che anche le mode testimoniano di una cultura, che dietro di esse ci sono scelte e motivazioni spesso inconsapevoli quanto profonde” <154.
Appare quasi scontato che la modernità di cui è portatore, accanto alle energie che riesce a sprigionare, consegni Nicolini alla ribalta pubblica: il suo personaggio si forma anche in relazione alle opinioni, i giudizi e la visibilità che ne dà in quegli anni la pubblica opinione. In altre parole, in relazione alla sua ricezione. Un oscillare fra simpatia e mito, tra sospetto e voglia di celebrazione che nel corso dei nove anni dell’effimero e poi via fino a diradarsi progressivamente, lo avrebbe collocato al centro di articoli, interviste, dibattiti, locandine e manifesti, politici e culturali, facendone «l’assessore alla Cultura più “scintillante” d’Italia» <155.
In primo luogo egli è punto di riferimento per una eterogenea galassia di corpi sociali. Dagli assessori delle giunte rosse alle soggettività che animano un vivace panorama intellettuale esterno ai tradizionali perimetri del politico; da chi vuole svecchiare l’immaginario urbano a quanti, all’estero, guardano con ammirazione e interesse all’esperimento capitolino fino a chi, nel suo stesso partito, con crescente insofferenza cerca di coniugare impegno politico e divertimenti privati.
Quanto si guardi a Nicolini come interprete di interessi accomunati dal desiderio di seguire i percorsi dello spettacolo e rinnovare i repertori culturali, è dimostrato dall’epistolario contenente le missive ricevute. Lo spoglio di questa preziosa documentazione ci restituisce i contorni di un consenso che muta le fonti della sua legittimazione e contribuisce ad acuire il ripensamento dei parametri politici tradizionali. Lo scambio con Tommaso Anzoino, assessore comunista alla cultura nel comune di Taranto, di qualche anno successivo un confronto fra i due ospitato sulle pagine del «manifesto», evidenzia il ruolo di Nicolini davanti a un giovane ceto amministrativo desideroso di innovare i repertori della politica, che in lui si rispecchia su un piano generazionale, culturale e ideale <156. Al contempo, appare chiaro come una fetta del Pci voglia ripartire dall’effimero per riconquistare ai socialisti le posizioni perdute dopo l’esaurimento delle giunte rosse alla metà degli anni ottanta. Capace di varcare i confini nazionali, l’esperimento nicoliniano produce inviti a Parigi e Los Angeles per intervenire sui problemi della vita culturale delle metropolì e configura l’ennesima legittimazione di un percorso unico su scala europea, per profondità e dimensioni <157. Del resto la stampa internazionale aveva guardato con crescente interesse la stagione dell’effimero, in particolar modo dopo la sua definitiva legittimazione pubblica a partire dal 1981. A un settimanale tedesco rappresenta la necessità che il pubblico torni a sentirsi protagonista in una dimensione propriamente metropolitana: «Einmal sollte Rom als große Stadt auch wirklich Metropole sein. Das geht vor alle die Menschen an: Das Publikum muß sich als Protagonist fühlen» <158, mentre a «Liberation» dichiara: «Nous vivons dans une société où il n’existe pas de préfiguration de l’avenir. Nous savons seulement que la société pour laquelle nous luttons doit être un peu différente et la culture autonome» <159. La sua parabola amministrativa si sarebbe ulteriormente arricchita di un’esperienza come assessore all’identità, dal 1993 al 1997, nella Napoli del cosiddetto “miracolo napoletano” con Antonio Bassolino sindaco <160.
In secondo luogo, volgendo lo sguardo ai meccanismi attivati dall’impatto della propria autorappresentazione, emerge una certa attenzione verso alcuni aspetti giudicati eccentrici, che i frequenti colloqui con la stampa avrebbero contribuito a rendere manifesti. Nicolini appare allo stesso tempo intervistato e intervistatore, oggetto e soggetto del panorama culturale del tempo <161. L’habitus estetico dell’assessore lo rende immediatamente riconoscibile162 e assurge presto a sistema di un preciso orientamento generazionale che induce la stampa a confrontarsi frequentemente con il tema. «Panorama» nel 1983 annota:
“Vestito a nuovo, completo di lino bianco candido e cravattino rosso, con la solita aria arruffata, ma qualche segno di stanchezza in più, il re della festa, «sua eccellenza happening» Renato Nicolini corre senza sosta da Montecitorio al Campidoglio, dai santuari dell’Estate romana a piazza Campitelli, sede dell’assessorato. Il suo pubblico l’ha portato in Parlamento: 40 mila preferenze alle elezioni del 26 giugno, al terzo posto nella lista del partito comunista. Dopo Enrico Berlinguer e Pietro Ingrao è stato il più votato nella capitale. E ora, nel doppio ruolo di deputato e assessore, che progetti ha Nicolini?” <163.
Il continuo indugiare sull’eclettismo lascia intendere un certo grado di distacco dal milieu comunista e l’opinione pubblica si chiede come possa una personalità tanto estrosa conciliarsi con un partito «disciplinatissimo» come il Pci <164. A partire dal taglio di capelli, la cui importanza emerge da un’intervista rilasciata al periodico «Amica» nel 1982:
‘Domanda: Hai voluto assumere un’aria più seria con questi capelli corti? Si dice in giro che te l’ha imposto il partito di tagliarli”. Risposta “diciamo che era un desiderio di Petroselli, ma 3 anni fa. Volevo somigliare a Majakowsky” “Allora te la prendi se ti dico che mi sembri Jerry Lewis?” “no, no davvero, me ne sono accorto anche io. A Salerno durante una conferenza Filiberto Menna mi ha chiesto di spiegare il rapporto tra l’avanguardia oggi e la cultura di massa. Gli ho risposto semplice: mi sono tagliato i capelli per assomigliare a Majakowsky e invece assomiglio a Jerry Lewis»’ <165.
Amplificato da un’abbigliamento spesso giudicato sopra le righe, tale aspetto da intellettuale scapigliato avrebbe contribuito alla sua fortuna. La caratterizzazione dei dispositivi sociali attivati alla proiezione estetica ha del resto recentemente trovato posto nella nuova biografia politica, molto attenta ai meccanismi di definizione e performanza del sé <166. Non è quindi casuale che parallelamente al dispiegarsi sulla scena pubblica di un’immagine controcorrente viaggi una capacità di penetrazione attraverso un ventaglio di soprannomi, appellativi ed epiteti che contribuiscono a caratterizzarne il ritratto. Di volta in volta egli è descritto come «il re del colosseo», «il dottor effimero» o «il pittoresco signore dello strapaese» <167; ed ancora «profeta dell’effimero», «comunista alla panna montata», «sua eccellenza happening» e «re della festa», in una costante attenzione alle esternazioni pubbliche ed attività private, come in occasione della partecipazione a passo di danza sul palco del Maurizio Costanzo Show <168. La cristallizzazione migliore del nesso fra ironia, eccentricità e incuriosita ricezione della stampa che la sua figura coagula, la si ricava da un corsivo del «Mondo», spia della versatilità dell’argomento-Nicolini all’interno dell’attualità del dibattito pubblico coevo:
“Lo aspettavamo abbronzato come un pasticcio? ed è arrivato bianco naturale. Lo aspettavamo almeno con una camiciola tropicale di palmizi verdi e … e invece è arrivato con il colletto chiuso e un fisichetto da far invidia a Vittorio Orefice raitivù. Soprattutto i capelli: la bella criniera sessantottesca è sparita, sacrificata chissà perché e chissà a chi. Ormai somiglia a tutti: al generale James Dozier ripulito, a Enrico Montesano nel ruolo di un agente della Cia, a un giovane chirurgo intervistato davanti alle telecamere. Alla conferenza stampa di ritorno dal Brasile c’è voluto un po’ prima che i fotografi lo riconoscessero. A Fiumicino devono esserci stati momenti d’imbarazzo al banco della polizia, di fronte a questo sedicente Renato Nicolini, assessore alla cultura di Roma, che non somiglia per niente a Nicolini. Ognuno ha il diritto, anche se non sancito dalla costituzione, di fare quello che vuole dei propri peli; non esiste un prontuario per l’abbigliamento degli assessori; la cravatta a farfalla non è ornamento esclusivo dei commentatori di politica interna alla Tv. Rimane solo da chiedersi: perché? Se Luciano Lama si presentasse senza pipa potrebbe dire che il suo pneumologo l’ha sconsigliato di continuare a fumare, ma se Enrico Berlinguer si facesse crescere la barba avrebbe il dovere di spiegarne agli iscritti del Pci, e non al parlamento, il significato. Si parlerebbe di messaggio indiretto, di segnali lanciati attraverso la proliferazione pilifera. Anche Nicolini è un uomo pubblico e i suoi capelli tosati interessano almeno i suoi elettori. Che cosa ha voluto dire? Che è finito il tempo dell’effimero? Che per la prossima Estate romana sarà gradito l’abito scuro alle proiezioni del Colosseo? Che alle manifestazioni non saranno ammessi i ragazzi di borgata? O che è disposto a collaborare al progetto Benzoni della Tosca cantata e recitata nei luoghi stessi dove Victorien Sardou e Giacomo Puccini la ambientarono? E dappoiché (ci si adegua fin d’ora con un arcaismo) Nicolini è stato imitato da molti, assisteremo a un new look degli assessori alla cultura? A meno che Nicolini non abbia voluto fare altro che levarsi una romanesca svojatura, una voglia futile, un ghiribizzo soltanto” <169.
[NOTE]128 A. Abruzzese, E dopo Nicolini, in «Panorama», 11 giugno 1984, p. 178.
129 I lavori che hanno molto sinteticamente tratteggiato alcune delle esperienze culturali e politiche di Nicolini sono gli stessi che si sono occupati delle Estati romane. S. Gundle, I comunisti italiani tra Hollywood e Mosca, cit., pp. 479-486; G. Crapis, Il frigorifero del cervello, cit.; A. Tonelli, Stato spettacolo, cit., pp. 18-21; cui si aggiunge l’opera autobiografica, R. Nicolini, Estate romana, cit.
130 R. Nicolini, Estate romana, cit., p. 50.
131 Sui governi del centro-sinistra si rimanda a G. Crainz, Il Paese mancato, cit., pp. 65-69.
132 Archivio Storico Capitolino (d’ora in avanti ASC), Fondo Renato Nicolini, Serie Carteggio, Sezione 16. Materiali di studio, Opuscolo “Architettura ‘63”, b. 90, fasc.1.
133 «É evidente la preoccupazione di non staccare l’organizzazione politica degli studenti dalla ricerca svolta nell’Università, facendo invece diventare l’organizzazione politica degli studenti uno dei momenti essenziali per cui deve passare lo svolgimento e la qualificazione della ricerca. In questo senso diventa connaturata all’attività dello studente la sua qualificazione politica; che si produrrà attraverso la qualificazione della sua attività specifica, cioè del suo studio». R. Nicolini, Prima e dopo il 1968, in «Rinascita»,
134 M. Biraghi, A. Ferlenga, Architettura del Novecento. Teorie, scuole, eventi, Torino, Einaudi, 2012, p. 246.
135 Fra questi egli stesso ricorderà Stefano Balassone (futuro protagonista insieme con Angelo Guglielmi di quella rai tre «garbata e dalle buone maniere» ), Max Guberti e Pino Chiesa, in uno spazio politico dove può coniugare impegno politico e arricchimento dell’immaginario.
136 Sulla Cuba di Castro ci si limita a rinviare a M. Pérez-Stable, The Cuban Revolution. Origins, Course, and Legacy, Oxford, Oxford University Press, 1999; A. Chomsky, The Cuba Reader: History, Culture, Politics, Durham, Duke University Press, 2003.
137 Gli interventi della giornata di incontri sono raccolti presso ASC, Fondo Archivio Nicolini, Serie Carteggio, Sezione 13. Partecipazione a convegni e mostre, b. 60 fasc. 1.
138 R. Nicolini, Estate romana, cit., p. 52.
139 Inattesa perché l’assessore designato Argan è chiamato a ricoprire la carica di sindaco. Appresa da un articolo sull’edizione romana del «Corriere della Sera», la notizie coglie Nicolini di sorpresa e in vacanza. Fra le deleghe degli amministratori, il futuro protagonista della politica dell’effimero cumula spazi sociali fra loro distanti: Sport, Giardino Zoologico, Parchi e Giardini, Turismo, Affissioni e Pubblicità e Cultura (manifestazioni e spettacoli, biblioteche, antichità e belle arti, archeologia e restauri, mostre ed esposizioni, archivio capitolino). Pronta la giunta nata dal 20 giugno, in «Corriere della Sera», 9 agosto 1976.
140 ASC, Fondo Renato Nicolini, Serie Carteggio, Sezione 7. Attività politica, “Il contributo dei comunisti alla conferenza nazionale sul turismo promossa dal Governo e dalle Regioni (21-23 aprile 1977)”, b. 28, fasc. 2.
141 R. Nicolini, Per un progetto di rappropriazione culturale di massa, in «L’architetto», ottobre 1977.
142 R. Nicolini, Li sposo per allegria, in «L’Espresso», 18 giugno 1984.
143 Il rapporto fra Pci e fumetto produce una polemica fra Nilde Iotti e Gianni Rodari. La prima, in un articolo su «Rinascita» del 1951, accusa senza mezzi termini le strisce disegnate: «Decadenza, corruzione, delinquenza dei giovani e dilagare del fumetto sono dunque fatti collegati, ma non l’effetto e la causa, bensì come manifestazioni diverse di una realtà unica». N. Iotti, La questione dei fumetti, in «Rinascita», XXII, 1951. All’interno del giornalino «Pioniere», Rodari aveva invece cercato di inserire alcuni fumetti, intuendone le potenzialità come linguaggio generazionale. L’intervento perentorio di Togliatti contro il fumetto poneva fine alla querelle. Sui meccanismi del linguaggio fumettistico più in generale Cfr: S. McCloud, Understanding Comics: The Invisible Art, New York, Harper, 1993; R. Duncan, M. Smith, The Power of Comics: History, Form and Culture, New York-Londra, Continuum, 2009.
144 Una descrizione della galassia del nuovo fumetto italiano la offre in presa diretta Pier Vittorio Tondelli. Cfr. P. V. Tondelli, Un weekend postmoderno, Milano, Bompiani, 2015, (ed. orig. Un Weekend postmoderno. Cronahce dagli anni Ottanta, Milano, Bompiani, 1990), pp. 204-211.
145 Il Satyricon attua un programma quotidiano di vignette: una inedita per ogni sera, realizzata in esclusiva per Massenzioland da Bruno D’Alfonso, il BDA della «Repubblica» e «Linus», apprezzato per il suo assortito e surreale universo di personaggi col “nasone”. A completare il programma, un laboratorio del fumetto, organizzato in collaborazione da Phantasmagorie e da Massenzioland.
146 Di quell’evento è stampata una locandina raffigurante il busto stilizzato di Nicolini.
147 L’utilizzo del falso è una delle cifre stilistico-satiriche della rivista. Il caso più eclatante è senza dubbio la manipolazione delle prime pagine dei principali quotidiani («Il Giorno», «La Stampa», «Paese Sera») del 9 maggio 1979. Le copertine raffigurano l’attore Ugo Tognazzi in manette, trascinato da un manipolo di carabinieri, sotto i titoli che lo indicano come il capo delle Brigate Rosse. Il falso in chiave dissacrante e trasformativa è una pratica ripresa dalla rivista «Frigidaire» (che del resto nasce come superamento del «Male», con il quale condivide perlatro molti dei protagonisti). Nel 1984 alcuni fra i membri della rivista si avventurano in Afghanistan e distribuiscono ai soldati sovietici false copie della «Pravda», grazie al supporto logistico dei mujaheddin islamici. Il titolo escalama in caratteri cirillici: «la guerra è finita andate a casa!».
148 Richiamando ancora una volta la necessità di abbattere le gerarchie culturali, a proposito di Andrea Pazienza Nicolini avrebbe affemato: «[…] Per fare un solo esempio diciamo che c’è molta più cultura in un fumetto, in un comic book di Andrea Pazienza, che è un giovane artista italiano, di quanto non ci sia nella musica di Ottorino Respighi, che è un musicista romano dell’inizio di questo secolo». ASC, Fondo Renato Nicolini, Serie Carteggio, Sezione 12. Politica Culturale, b. 51, fasc. 17.
149 L’intervista è rilasciata in occasione del documentario di Giovani Minoli per La Storia siamo noi prodotto da Rai Educational e consultabile su YouTube all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=IDpfzHGaaFs&t=187s
150 R. Nicolini, «Roma» come un simbolo dell’effimero, in «l’Unità», 26 settembre 1977.
151 G. Capitta, Un’estate lunga cinque anni ancora, partiti permettendo, in «il Manifesto», 24 luglio 1981.
152 R. Nicolini nel suo Estate romana, cit., p. 112.
153 Un esempio è la documentazione per il corso su “Memoria involontaria ed esperienza della metropoli. Dall’ideologia romantica della città all’automatismo psichico surrealista”. ASC, Fondo Renato Nicolini, Serie Carteggio, Sezione 16. Materiali di studio, b. 90, fasc. 2.
154 R. Nicolini, I tarocchi di Massenzio, cit. p. 32.
155 L. Giustolisi, Dieci, cento King Kong senza Grassi, questa la ricetta per una buona TV, in «Paese Sera», 13 febbraio 1980.
156 ASC, Fondo Renato Nicolini, Serie Carteggio, Sezione 2. Corrispondenza, “Lettera di Tommaso Anzoino”, 1985 b. 8 fasc. 8.
157 L’apposita sezione del fondo personale restituisce una efficace fotografia dell’importanza di Nicolini come interprete di un nuovo modo di intendere la città e le sue politiche culturali. Sono contenuti numerosissimi inviti e depliant a seminari e conferenze che hanno come tema la sfera urbana. ASC, Fondo Renato Nicolini, Serie Carteggio, Sezione 13. Partecipazione a convegni, b. 60. fasc.2.
158 Nicolini läßt die Puppen tanzen, in «Deutsches Allgemeines Sonntagsblatt», 16 agosto 1981.
159 Nicolini et l’été romain, in «Liberation», 5 luglio 1982.
160 In una lettera ad Antonio Bassolino, a proposito della scelta di non proseguire l’esperienza di assessore, Nicolini ha scritto: «Credo che tutti dovrebbero vivere un periodo della propria vita in un’altra città, dimorando nelle sue abitudini e nella sua cultura. E quando questa città è Napoli! Una città simbolo degli errori storici di chi ha governato l’Italia […], divenuta in pochi anni simbolo, per alcune scelte, di una speranza di riscatto attraverso un diverso modo di governare». ASC, Fondo Renato Nicolini, Serie Carteggio, 15. Appunti e notes, b. 88, fasc. 1.
161 Fra le varie interviste, significativa è quella con il cantante Francesco De Gregori, su «L’Ora». Caro onorevole scudocrociato, per te non canterei mai, in «L’Ora», 23 giugno 1983.
162 Allo stesso modo si rende riconoscibile anche dal nuovo pontefice Giovanni Paolo II: «C’è una cosa che non ho mai raccontato. Anni fa, quando fu presentato da Argan a Wojtyla, il papa disse: “Lei dev’essere quello della cultura”. Nicolini: “Da che cosa si vede, santità?”. E il papa: “Si vede, si vede”. G. Pepe, “Ora siamo meno forti ma anche meno illusi”, in «la Repubblica», 18 maggio 1985.
163 C. Sottocorona, Uno sponsor per l’Italia, in «Panorama», 15 agosto 1983, p. 37.
164 F. Grazzini, Sono il Dottor Effimero, in «Amica», 25 maggio 1982.
165 F. Grazzini, Sono il Dottor Effimero, cit.
166 Sull’utilizzo dell’esteriorità come dispositivo analitico della nuova biografia politica e sul concetto di “sé performante” si vedano: W. Parkins, Fashioning the Body Politic. Dress, Gender, Citizenship, Oxford- New York, Berg, 2002; J. Burr Margadant (a cura di), The New Biography. Performing Femininity in Nineteenth- Century France, Berkeley, UCP, 2000; L. Ryall, Garibaldi. L’invenzione di un eroe, Bari-Roma, Laterza, 2007.
167 La «cultura romana» in tribunale, in «Il Tempo», 23 gennaio 1982.
168 Nicolini balla un tango sulla scena del Sistina, in «Paese Sera», 24 marzo 1983.
169 La cultura ha una cravatta, in «Il Mondo», 26 marzo 1982.
Marco Gualtieri, La città immaginata. Le Estati romane e la “stagione dell’effimero” (1976-1985), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Anno Accademico 2019-2020
#1963 #1976 #1982 #architetto #assessore #cinema #cultura #effimero #estate #fumetti #MarcoGualtieri #PCI #RenatoNicolini #Roma #stagione #studenti
RENATO NICOLINI – DOCUMENTARIO SULL’ESTATE ROMANA E SUL MERAVIGLIOSO URBANO.
Rai EducationalLa Storia siamo Noidi Giovanni MinoliMeraviglioso Urbano: Trent’anni di Estate Romana (2007)di Maurizio Malabruzzi e Giada PetroneMontaggio di...YouTube
This website uses cookies to recognize revisiting and logged in users. You accept the usage of these cookies by continue browsing this website.